doppiare i cartoni animati è un’arte
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doppiare i cartoni animati è un’arte | Wired Italia


Sono il principe dei Saiyan”. Chiunque guardi o abbia guardato, da ragazzino, Dragon Ball non può non aver letto questa brevissima frase con la sua voce. La voce di Vegeta. Un timbro scuro, sicuramente, ma capace di affascinare, un’intonazione completamente diversa da quella che lo stesso personaggio ha in altre versioni, da quella americana alla giapponese. Gli eroi dei cartoni animati non sono solo disegni che si muovono, hanno una personalità, e questa è data in larga parte dalla voce. Così Vegeta in italiano ha “una vena un po’ romantica, che lo rende diverso dal suo alter ego americano, decisamente più bullo”. Parole di chi a Vegeta ha prestato la voce e ha donato questa profondità unica, Gianluca Iacono. “Quando devi doppiare un cartone animato hai molta più libertà rispetto a quando lavori al doppiaggio di un film. Quando doppi un attore devi rispettare il lavoro fatto da lui prima di te: il personaggio è già costruito e tu devi semplicemente riportarlo nella tua lingua. Con gli anime questo non succede: vedi una faccia e puoi iniziare a lavorare con la tua creatività. Hai carta bianca. Vegeta, quando l’ho incontrato, per me era carta bianca: l’ho guardato e ho iniziato a immaginare”.

Immaginare i suoni

E l’immaginazione è fondamentale: “Vegeta tutto sommato è una persona, certo, vola e combatte in modo formidabile, ma è una persona. Il vero stacco di fantasia si ha quando ci si trova davanti a un personaggio senza connotati precisi, tipo quelli dei cartoni per bambini piccoli: se ho davanti una massa parlante che si gonfia e poi si squacquera, che voce le do? Parte di quello che facciamo con il nostro lavoro è dare una patina di plausibilità a cose che non sarebbero plausibili. Nel caso di Vegeta, ad esempio, quando è a terra agonizzante e ansima per ore senza morire mai. Devi enfatizzare espressioni sonore che normalmente sono più contenute: nessuno nella vita fa gli urli che fa Vegeta, bisogna amplificare un suono esistente, nel volume e nel tempo di durata. Se poi il personaggio è surreale, devi avere un approccio altrettanto surreale, servono versi e suoni che non esistono nel mondo reale: si fanno delle vere e proprie acrobazie sonore.

Dal testo al personaggio

Ma dove finisce la libertà del doppiatore? Alcune delle domande che più spesso si fanno gli spettatori riguardano i cambiamenti e le modifiche nei dialoghi: quante volte i fan di una serie si lamentano perché un nome o una parola sono stati, a loro avviso, stravolti? “Ai fan che mi fanno domande come questa nelle convention e nei festival rispondo che noi siamo attori, e come tali esecutori. Noi seguiamo un copione, e solo in alcuni casi possiamo proporre delle modifiche, che vanno comunque approvate, ma in genere riguardano aspetti tecnici. I cambiamenti maggiori si hanno quando cambia il cliente, quando si passa da una serie a un film, ad esempio. Certo, se la serie ti sta particolarmente a cuore, o se le modifiche sono troppo invadenti provi a opporti: se mi chiedono di dire Sàiyan invece che Saiyàn, mi rifiuto”. Occorre anche tenere presente che nel doppiaggio di un cartone animato si procede scena per scena: “non è necessario aver visto tutta una serie, il contesto conta fino a un certo punto. Devo vedere che faccia ha un personaggio, cosa prova, qual è il suo sottotesto, come si muove, qual è la sua fisicità. Non si lavora su tutto un episodio, ma sui singoli spezzoni. Guardi, provi e fai il doppiaggio. Certo, oggi grazie al computer si può correggere quasi ogni errore”.

Fusione di voci

E la tecnologia ha portato tanti cambiamenti nel lavoro del doppiatore: “Prima si stava al leggio in due o in tre” racconta ancora Iacono “o anche in gruppi numerosi se c’era una scena di “folla”. Ora c’è la cosiddetta colonna separata: stai al leggio da solo, registri la tua parte e te ne vai. Certo, è più comodo, più veloce, a livello tecnico ti consente di mixare su più piste, di giocare con le singole voci. Ma questo viene troppo spesso usato non a favore di un risultato migliore, ma a vantaggio della velocità. E poi manca la componente di complicità, la spontaneità, il divertimento, soprattutto nelle scene comiche: lavorare con i colleghi ha un altro sapore”.

Però ci sono cose che prima non si potevano fare: “in Dragon Ball Z, alla fine degli anni Novanta, quando i computer erano agli inizi, soprattutto a livello di software sonoro, lavoravo con Maurizio Torresan che faceva Goku: nelle scene in cui Goku e Vegeta facevano la fusione, si sente solo la sua voce, perché non era possibile tecnicamente unire le due voci in maniera perfetta”. Per chi non segue le avventure dei Saiyan, in una fusione i due guerrieri devono muoversi all’unisono: va da sé che le voci debbano essere coordinate. “Anni dopo, in Dragon Ball Super, le cose sono cambiate, le voci si possono sovrapporre e a fare la differenza è chi registra per primo: la voce di Goku ora è Claudio Moneta, che registrando la sua parte per primo, è stato bravissimo a darmi una base su cui appoggiarmi, senza eccessi”.

Attori prima che doppiatori

E i cambiamenti Proseguono nella formazione dei giovani, sempre più specializzati e sempre meno capaci di versatilità: “una volta gli attori erano completi, io stesso ho fatto di tutto, teatro, televisione, cabaret: ho iniziato con i radio romanzi, facendo ruoli da bambino, e lì mi sono formato, lavorando a fianco di attori di teatro. Oggi si vive a compartimenti stagni. Per questo dico ai miei allievi che un doppiatore è un attore che presta la voce a un personaggio”. E ai suoi allievi raccomanda la cura della voce: “non basta avere una bella voce, è come avere un buon pianoforte e non saperlo suonare. Occorre studiare dizione, certo, ma anche lavorare sui ritmi, sulla respirazione. Anche saper cantare non è indispensabile, ma aiuta: l’importante è essere intonati dal punto di vista della prosa”. Senza dimenticare che per dare voce a un personaggio bisogna saper ascoltare: “devi ascoltare tutto quello che fa un personaggio, i versi, le sporcature, i suoni fatti con le mani, con il corpo, i sospiri, la respirazione, e poi intorno, il vento, i rumori di sottofondo, e la musica, ovviamente, la colonna sonora ti dà la spinta, la chiave giusta per affrontare quella scena”. Solo così si può dare davvero vita a un personaggio, e la voce anima davvero un cartone donando quella terza dimensione che i disegni non possono avere.





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di Daniela Guaiti www.wired.it 2023-05-31 04:20:00 ,

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